Foto: No, io non ho coraggio. Io sono colui che ci ripensa anche se sembra irremovibile. Sono colui che crede ancora che il sole non sia solo una palla di fuoco, ma la bocca aperta di un cielo esterrefatto quando osserva il mondo. Sono colui che sogna, anche se in bianco e nero e che ha dei pensieri dalle tonalità vintage perché i sorrisi non vanno più di moda. Sono l'istante poco prima di piangere: quella sensazione mista tra nausea e necessità di tossire, che, alla fine, versa un caffè di lacrime ristretto. Sono un bilocale in attesa del secondo affittuario che possa dare un tocco colorato a un altrimenti spoglio appartamento. Sono colui che attende e sono colui che agisce per istinto. Sono chi per un istante, magari per orgoglio nei confronti di ciò che è, ciò che era ed è stato, cerca uno stravolgente gesto d'amore. Sono colui che rinnega gli affetti perché ha timore di riceverne e di ricambiarli. Sono colui che cadendo sempre più a fondo, osserva il precipizio dal quale si è sporto mentre diventa più piccolo e che non crede negli schianti perché sono solo per coloro che si arrendono. Sono colui che è ma che non è e che sarebbe fiero di essere ciò che non è perché ha deciso egli stesso di cambiare, non per una proiezione di un avvenimento spietato della propria vita. Sono colui che crede ancora negli abbracci, in cui ci si annulla perché non si ha bisogno del contatto ma perché c'è necessità di perdersi nell'altro e dimenticare l'autocontrollo per sentirsi sicuri non solo nel proprio mondo, ma anche in quello di chi l'abbraccio lo riceve. Sono colui che aspetta ancora un "va tutto bene, ci sono qua io", e che odia chi potrebbe dirglielo da un momento all'altro perché ha la pseudo ideologia che le esperienze più sono dure, più temprano. E sono colui che osservando il cielo da bambino, spera ancora che esista un mondo solo per lui, dove i sorrisi si colgono dagli alberi e le lacrime sono ormai bandite da tempo. M. Bucci

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Tratto da "Il sorriso di Caterina"  di Carlo Vecce "Come tutti nel nostro popolo, non so come funziona la scrittura, anche se ho visto i popoli vicini usarla, e ho trovato nei tumuli e nelle case dei morti lastre di pietra antichissime con strane e incomprensibili incisioni, perché l a scrittura deve essere una magia con cui si fanno prigioniere le parole che altrimenti sono fatte d'aria, e sigillandole nel tempo e permettendo loro di attraversare la frontiera tra la vita e la morte . Per questo le scritture sono incise sulla pietra vicino alle case dei morti. Deve essere il linguaggio dei defunti, scavato nella roccia affinché non diventi polvere come i loro corpi. Sto leggendo  " Il sorriso di Caterina " di Carlo Vecce, un  romanzo storico molto acclamato. Sono ancora all'inizio e questo paragrafo mi ha colpito particolarmente. Trovo stupenda questa spiegazione inedita del termine scrittura e vorrei poterla farla mia in qualche maniera. Tempo fa'
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